• CATALOGO
  • LIBRI
  • CODICI
  • RIVISTE
  • SERVIZI ON LINE
  • ELEARNING
  • EBOOK
  • APP
  • BANCHE DATI
  • SCUOLA DI FORMAZIONE
  • SOFTWARE
 

dei diritti e delle pene

Il Blog di Davide Steccanella

  • Home
  • Profilo
  • Contatti
  • Archivio
Postilla » Diritto » Il Blog di Davide Steccanella » Diritto penale e processuale » Femminicidio e la logica “vittimaria” del nostro diritto

12 novembre 2013

Femminicidio e la logica “vittimaria” del nostro diritto

Tweet

La recente legge contro il femminicidio contiene in realtà un tale concentrato di novelle da costituire una sorta di sostanziale modifica al nostro sistema processuale penale.

La modifica di maggior rilievo è quella introdotta in materia di misure cautelati per i delitti con violenza contro la persona, accezione peraltro alquanto ampia, e che ricomprende fattispeci di ben diversa gravità tra di loro.

La nuova procedura prevede infatti che per potere richiedere al Giudice competente la modifica della misura cautelare in atti (ad esempio quella degli arresti domiciliari in sostituzione della custodia in carcere) occorre preventivamente notificare la richiesta alla persona offesa, la quale ha due giorni di tempo per formulare al Giudice le proprie osservazioni.

Come sanzione processuale alla mancata allegazione della avvenuta notifica da parte del richiedente, il Giudice dovrà dichiarare la inammissibilità della istanza, anche qualora dovesse ritenere venute meno, ovvero attenuate, quelle ragioni cautelari che avevano imposto la adozione della misura più gravosa.

La “singolare” novella, verso la quale si sono già raccolte numerose critiche da parte degli addetti ai lavori, si pone del resto in precisa continuità con una altrettanto “singolare” tendenza volta in qualche modo a potenziare sempre di più il ruolo processuale della persona offesa dal reato (o parte civile al processo) e che trova alcuni significativi precedenti giurisprudenziali.

Tempo fa si lesse di un patteggiamento negato dal Giudice per mancato consenso della vittima nonostante il consenso del PM, ma è nota, a chi esercita la professione, la attitudine da parte di molti PM a “subordinare” il patteggiamento (artt. 444 e ss. Cpp) all’avvenuto risarcimento del danno, nonostante non venga affatto richiesta la diminuente prevista per la speciale attenuante (art. 62 n. 6 Cp).

Anche da parte dei Magistrati di sorveglianza peraltro, è invalsa da anni la usanza di negare la liberazione condizionale, prevista all’art. 176 CP per il condannato che ha scontato almeno metà della pena inflitta (ovvero 26 ani in caso di ergastolo) in caso di mancato “ravvedimento”, interpretandosi tuttavia tale requisito, non già come positiva valutazione ex post del comportamento carcerario, bensì come necessità di una iniziativa direttamente rivolta alla vittima del reato commesso (lettera di scuse o richiesta di perdono).

Nessuno contesta, e ci mancherebbe altro, il sacrosanto diritto della persona offesa da un reato di tutelare al meglio le proprie ragioni risarcitorie in sede penale, oltre a quello, altrettanto sacrosanto, di ottenere giustizia, ma la pretesa punitiva del reo deve spettare solo allo Stato.

Estendere sempre di più alla parte privata il diritto di disporre anche sulla pena dell’imputato (o del condannato) e persino sulle sue modalità esecutive, non sembra essere una conquista ma una malcelata dichiarazione di estrema debolezza della Giustizia, costretta a delegare, e non senza una certa “invadenza”, a chi ha subito un danno, l’applicazione di quel diritto che, viceversa, una giustizia forte ed efficace dovrebbe saper garantire da sola.

Ai “plastici” da Vespa, dove vengono mediaticamente e ciclicamente celebrati i processi più famosi, o ai vari servizi di cronaca dove ad ogni sentenza vien domandato alla parte civile di turno se ritiene sufficiente o meno la pena decisa da un Giudice ci avevamo fatto il callo, ma di arrivare ad imporre per legge il diritto del privato a decidere se un imputato in attesa di giudizio debba o meno restare in carcere, se ne poteva sinceramente, fare anche a meno.

 

Letture: 7023 | Commenti: 2 |
Tweet

2 Commenti a “Femminicidio e la logica “vittimaria” del nostro diritto”

  1. felice goldsmith scrive:
    Scritto il 13-11-2013 alle ore 17:49

    Ho inteso il suo intervento e condivido il messaggio di fondo:
    “la vittima non deve essere coinvolta nel giudizio del reo”

    Però che commenta mi sembra più procedurale che di sostanza infatti alla fine è sempre il giudice che deve esprimere il giudizio finale e quindi il principio che difende alla fine è salvo.

    Sottovaluto qualcosa?

  2. Dominic scrive:
    Scritto il 23-1-2014 alle ore 19:03

    I reati femminili contro il maschio vengono deliberatamente censurati.Il femminicidio non esiste.La violenza non ha sesso.Esiste l’omicidio,punto.

Scrivi il tuo commento!

  • 459 Cpp, 460 Cpp, 461 Cpp, Alfano, Apicella, art. 263 Cpp, art. 317 cp, art. 438 Cpp, art. 606 Cp, art. 612 Cp, art. 629 Cp, art. 648 bis Cp, art. 660 Cp, assoluzione berlusconi processo ruby, berlusconi, cassazione, concorso esterno, concussione, custodia in carcere, Decreto Penale, delitto di Garlasco, Delitto di Perugia, De Magistris, deterrenza, discrezionalità, estorsione, Giudizio abbreviato, GUP, legge anticorruzione, minaccia, misure cautelari preventive, nozze gay, omicidio, omicidio del consenziente, patteggiamento, pena, pena giusta, perquisizioni, PM, prescrizione, Procedura Penale, processo Ruby, riciclaggio, rogatoria, sequestro penale
  • HOME |
  • FISCO |
  • DIRITTO |
  • LAVORO |
  • IMPRESA |
  • SICUREZZA |
  • AMBIENTE
  • Chi è postilla |
  • I blogger |
  • Blog Policy |
  • Diventa Blogger |
  • Chi siamo |
  • Contatti |
  • Privacy |
  • Note Legali |
  • Policy cookie |
  • Pubblicità
 X 

P.I. 10209790152

Postilla è promossa da: IpsoaIl FiscoCedamUtetIndicitalia